Tutela Antidiscriminatoria
Discriminazione e Parità di trattamento
In Italia l’articolo 3 della Costituzione, afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali avanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Questo è il nostro valido principio di eguaglianza sulla base del quale la legge italiana, uniformandosi anche ad alcune direttive europee, proibisce la discriminazione (sul lavoro, ma non solo) per ragioni di sesso o identità di genere, razza o origine etnica, età, disabilità, religione o convinzioni personali, orientamento sessuale.
La discriminazione è un fenomeno complesso che, semplificando, si verifica quando un trattamento non paritario viene attuato nei confronti di un singolo o un gruppo, sulla base di un particolare fattore protetto.
Non tutte le forme di esclusione, ad esempio, costituiscono casi di discriminazione.
Quali possono essere dunque i fattori di discriminazione?
- La razza o origine etnica (il colore della pelle, l’origine dell’individuo)
- La nazionalità
- L’orientamento sessuale
- Le convinzioni politiche o religiose
- Il genere (donne e uomini) e l’identità di genere (persone transgender)
- La disabilità
- L’età
Sulla base dei fattori elencati, può entrare in campo la lesione al diritto alla parità di trattamento dell’individuo nella propria sfera lavorativa e, in alcuni casi, anche in quella sociale o commerciale (per esempio con riguardo alla fornitura di beni e servizi).
Nel nostro ordinamento riconosciamo due macro tipologie di discriminazione:
- La discriminazione “Diretta“: quando si mette in pratica un trattamento sfavorevole, rispetto a quello riservato ad un’altra persona in una situazione analoga, in ragione di uno dei fattori protetti (genere, etnia, orientamento sessuale, ecc.).
- La discriminazione “Indiretta”: quando una “disposizione, un criterio o una prassi” apparentemente neutri, ossia che non fanno direttamente riferimento a uno dei fattori protetti, hanno però l’effetto di mettere chi si ritiene portatore di uno di questi fattori in una condizione di “particolare svantaggio” rispetto ad altre persone.
I decreti legislativi del 2003, n. 215 e 216, proibiscono la discriminazione diretta, la discriminazione indiretta e le molestie, specialmente sul luogo di lavoro. Sono ammesse le “azioni positive”, cioè misure “dirette a evitare o compensare svantaggi connessi a un fattore protetto”.
Mobbing
Col termine Mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore all’interno dell’ambiente di lavoro.
Si manifesta spesso attraverso costanti e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere a volte forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica.
Questi comportamenti hanno spesso lo scopo di produrre un senso di mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto potenzialmente lesivo del suo equilibrio psicofisico.
Non è detto che il mobbing sia identificabile sempre come un atteggiamento discriminatorio, a meno che non sia motivato da fattori di discriminazione, ciò che la legge considera come molestie; spesso comunque il mobbing lavorativo può portare il soggetto a isolarsi, soffrire psicologicamente, fino al punto di licenziarsi pur di non dover sopportare atteggiamenti persecutori.
Nell’ordinamento italiano esiste la possibilità di contrastare gli episodi di mobbing, una serie di comportamenti lesivi della dignità e della salute psico-fisica del lavoratore.